martedì 29 aprile 2014

Mal di terra...

Io non credo di appartenere alla terra...
Ma in realtà sì
Perché la terra è femmina.. il mare è maschio
E come due rette parallele si incontrano all’infinito ma non si fermano mai insieme
Il loro incontro è movimento, e senza quell’incontro nessuno dei due esisterebbe
Non ci sarebbe quel limite che ci definisce tutti
Ma la cosa bella è che quel limite è informe e destinato ad essere infinitamente variabile
Come il maschile senza il femminile
La terra senza il mare sarebbe infinita, e infinitamente triste
Il mare senza la terra sarebbe ingovernabile e si distruggerebbe da solo
Io appartengo alla terra ma ho bisogno del mare
E quando sono in mare ogni dolore, ogni tormento, ogni preoccupazione scivola via
Ma poi devo tornare a terra
E non mi ci abituo mai davvero

Il mal di terra non è altro che la prova di essere vivi
E in quanto vivi limitati ed incompleti

...in continuo movimento


e destinati ad incontrarsi e perdersi all’infinito...

martedì 22 aprile 2014

Innamorarsi dei suoni

(Dedicato a Marco, che non lo sa ma è stato enorme fonte d'ispirazione per questo post)


Il post di oggi, con un po' di ritardo per cause tecniche, è tutto da ascoltare, e da leggere ovviamente.

Questo fine settimana mi sono concentrata molto sui suoni, i miei amici fonici e musicisti noteranno che c'è ancora molto da lavorare, ma questo è un semplice esperimento... l'inizio di un percorso che mi porterà a dare nuova attenzione al suono nella costruzione delle narrazioni.

Quindi munitevi di un buon paio di auricolari, per poter percepire al meglio l'esperienza, e buona lettura, ma soprattutto buon ascolto.
E grazie a mamma per le foto...




venerdì 18 aprile 2014

La storia siamo noi... nessuno si senta escluso
(F.DE Gregori)

“Suggestioni di due giorni di ferrovie e narrazioni”

Giovedì sera... sono stanca, sfiancata, la testa piena di cose, e un gran bisogno di dormire... ma si è detto che il venerdì esce il post e venerdì ha da uscire... bisogno di non tradire il lettore, ma prima ancora di non tradire me, bisogno di un esercizio di autodisciplina.
Perché inizio a realizzare che questo blog è prima di tutto un esercizio di autodisciplina.

Ieri è iniziato finalmente Moving Landscape, il laboratorio promosso da Pepenero all’interno del progetto “G.A.P. La città come galleria d’arte partecipata”: un laboratorio di scrittura collettiva, finalizzato a costruire una narrazione corale della ferrovia e del territorio salentino.


Tanti temi si sono toccati in questi due giorni, passati tra treni e stazioni, tra Zollino e Otranto... parlando, soprattutto... la scrittura verrà dopo.

Oggi non ho tanta voglia di parlare di me. Oggi sono in ascolto, degli stimoli che ricevo dall’esterno ma anche dall’interno (il famoso omino del cervello che non tace mai).

Non che non abbia nulla da dire, anzi, avrei moltissimo. Ma non ne ho tanta voglia... i pensieri dedicati alla scrittura collettiva, alle storie, che hanno un narratore, ma non un proprietario, alle storie di questa terra e al senso di appartenenza che genera, non sono ancora maturi abbastanza per essere fermati nella scrittura. E siccome la storia siamo noi, tutti noi, e nessuno deve sentirsi escluso, oggi vi regalo la storia di Betta, che è stata sottofondo di ogni mio pensiero negli ultimi due giorni.

Buona visione,


e un grazie speciale a Betta, che alla fin fine, anche se mi diverto a negarlo, è una mia grande amica.




martedì 15 aprile 2014

Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla.”

Ovvero considerazioni in ordine sparso sul digital storytelling e su una giornata ricca di emozioni e stimoli

Eccomi qui, pronta col secondo post... sì perché venerdì non l’ho detto, ma l’obiettivo è quello di scrivere due post a settimana, il martedì e il venerdì... per la serie né di venere né di marte...

E non ho detto nemmeno che rubo i titoli... è una cosa che faccio da sempre, non sono brava a trovare titoli, quindi li rubo... ma più che furti mi piace considerarli omaggi. E così il nome del mio blog è un omaggio a Daniele Silvestri (che sono certa non se ne avrà a male), quello del primo post a un album dei Modena City Ramblers a cui sono molto legata e che mi ha accompagnato per tutta l’adolescenza (e nemmeno loro se ne avranno a male visto che hanno a loro volta omaggiato Bob Dylan...).

Oggi voglio rendere omaggio ad Alessandro Baricco.
Qualche sera fa, per l’esattezza la notte prima di partire per Copenaghen, mi sono ritrovata tra le mani Novecento, l’ho riletto tutto d’un fiato.

Devo molto a Baricco, fin da piccola ho sempre amato scrivere, e leggere... e credo che gli anni passati a divorare i romanzi di Baricco e di Stefano Benni abbiano influenzato profondamente il mio modo di immaginare e di scrivere. Il sogno di diventare una scrittrice non è mai morto, e questo blog ne è la prova, semplicemente è rimasto in angolo, nei ritagli di tempo, nei viaggi in treno, nelle tesi di laurea e di master... poi un giorno, più o meno un anno fa, sono inciampata nel digital storytelling.

Era una giornata caldissima di metà maggio, Giulia (altro pilastro di Vulcanicamente) mi aveva segnalato un laboratorio dal basso sulla cultura che si teneva a Galatina, primo modulo sul digital storytelling. Ci sono andata convinta che avrei imparato qualcosa di interessante, sono uscita carica come una molla, con la sensazione che iniziava per me un cammino importante, e avevo ragione: due settimane dopo la formatrice del modulo mi ha inviato un bando per una formazione Gruntvig proprio su questo strumento, mi sono candidata, sono stata selezionata, ad ottobre sono stata una settimana in Galles con un gruppo di 20 formatori provenienti da Italia, Bulgaria, Estonia e Svezia, dove ci siamo immersi nelle nostre storie, per poi ritrovarci a dicembre, in Germania, e condividere tecniche di facilitazione. E oggi (ieri per chi legge) sono di nuovo a Galatina, dove questo amore è iniziato, inzzieme alla vulcanicissima  Nunzia a parlare di questo meraviglioso strumento, durante un incontro organizzato da programma Sviluppo nell’ambito della Social Innovation School  

Ho pensato a lungo a come spiegare in maniera esauriente cos’è il digital storytelling, per poi arrivare alla conclusione che le storie prodotte parlano meglio di qualunque cosa io possa scrivere, inoltre pensavo che parlare della giornata di oggi poteva essere un buon pretesto per introdurlo, ma gli stimoli che mi sono arrivati oggi durante il workshop hanno spostato la mia attenzione e sento il bisogno di parlare un po’ di questo territorio e delle persone che lo animano.

Quindi, come nella presentazione che avevamo preparato per oggi, prima di proseguire la lettura vi invito a guardare questa storia:





Questo digital storytelling è stato realizzato da Gabriel nell’ambito di un laboratorio, pensato da me e Sara per scegliere il protagonista del documentario transnazionale che gireremo nei prossimi mesi per il progetto Youth for Change. (e qui se qualcuno dovesse sentirsi un po’ perso, consiglio di leggere il post precedente e, volendo, approfondire attraverso i link)
Questa storia racconta meglio di come saprei farlo io la potenza comunicativa del digital storytelling. Ma soprattutto contiene in sé molti dei temi che sono usciti oggi, non solo da Nunzia e da me, ma anche dalle altre ragazze che sono intervenute, Lara Selene e Sandra, e ben risponde ad alcune delle problematiche sollevate dall’assessore Coccioli.

Oggi abbiamo toccato molti temi importanti, raccontare le nostre esperienze nell’ambito della progettazione europea ci ha dato modo di soffermarci sul bisogno di formazione, ma anche sulle opportunità di creare occupazione, di formarsi fuori e tornare con competenze di cui questo territorio ha bisogno, partendo, volendo banalmente ma molto concretamente, dalla conoscenza delle lingue.

Quello che più mi ha colpito, anzi che da quasi tre anni ogni giorno mi colpisce, è vedere quante ragazze e ragazzi dopo essersi formati all’estero, sentono il desiderio di tornare qui, fondare associazioni, fare rete, collaborare per creare occupazione, sviluppo, opportunità in questo territorio. Puntare sul dialogo intergenerazionale come arricchimento reciproco, un dialogo in cui gli anziani tramandano i saperi di una tradizione ricchissima e i giovani portano competenze innovative e vedute più ampie.

Tutto questo ancora mi commuove e mi stupisce!

Nessuno dei miei amici, una volta partiti, si sono detti “ok ora ho visto il mondo, sono cresciuto, voglio tornare a Roma e lottare per cambiare le cose lì”, sicuramente almeno non è così per me. Anzi, io voglio stare qui ed essere parte di questo cambiamento, di questa bellissima energia, senza fingere che sia facile, ma credendoci, vedendo delle prospettive, dandomi da fare e soprattutto non sentendomi mai sola in questo cammino.

Forse è per questo che mi sono innamorata del digital storytelling.
Scrivere la mia storia, le mie emozioni, i miei sentimenti, mi appassiona sempre moltissimo. Ma conducendo questi laboratori sto scoprendo che accompagnare gli altri a scrivere di sé, essere la facilitatrice di un processo di narrazione, il cui risultato è individuale, ma il percorso si affronta in gruppo, ascoltandosi e sostenendosi a vicenda, considerando la narrazione dell’altro come un dono prezioso... beh questo mi fa sentire davvero viva e parte di qualcosa di importante.


E per chiudere questo post in maniera circolare, chiudendo con la frase con cui si è aperto, ci sono molte persone che hanno buone storie da raccontare qui, ed è bello essere il qualcuno pronto ad ascoltarle...

venerdì 11 aprile 2014

Riportando tutto a casa

E così sono di nuovo a casa... mentre inizio a svuotare la valigia (processo che nel mio caso inizia almeno due giorni dopo il rientro e può durare anche un mese, ammesso che io ci stia un mese di fila a casa. In effetti spesso la finisco di svuotare solo quando è il momento di riempirla di nuovo)  ripercorro mentalmente le quasi tre settimane passate fuori casa... Sembra assurdo che siano passate solo tre settimane, sembra di essere fuori da almeno tre mesi... i posti visti, i letti in cui ho dormito, gli amici vecchi e nuovi, le attività, i lavori svolti, la valigia fatta e rifatta lasciando pezzi in giro, prendendone di nuovi, con tanto di teatrini surreali in aeroporto per riuscire a far star dentro tutto...


Questo viaggio racconta molto bene la piega sorprendente che ha preso la mia vita da quando, alla fine del 2011 ho messo un paio di scatoloni e borse in macchina e ho lasciato la Città Eterna per spiccare finalmente il volo. Destinazione: Lecce! Un master, sei mesi, massimo nove, poi torno.... le ultime parole famose. Da allora non mi sono più fermata! La mia base è rimasta qui, in Salento, terra meravigliosa, terra di confine, e nel frattempo ho costruito tante cose, ho viaggiato, mi sono formata, ho iniziato a collaborare con alcune splendide realtà del territorio, dividendo la mia vita tra lente pedalate tra gli ulivi e corse frenetiche tra treni e aerei.

Da qualche tempo sto pensando di aprire un blog, per parlare di me, di quello che faccio, ma anche di quella che sono, una giovane donna ormai quasi trentenne che insieme ad altri uomini e donne cerca un futuro diverso per sè e per il mondo che la circonda.

E così ho deciso di iniziare raccontando questo viaggio, per dare un consistente assaggio di me e di ciò che mi sta intorno... e quindi bando alle chiacchiere proviamo a iniziare con ordine, a presentarmi:

Mi chiamo Ginestra,  ho 29 anni (ancora per pochissimo) e da due anni dedico la mia vita all’associazionismo, dividendomi tra attività sul territorio e viaggi in giro per l’europa, sono in formazione costante e sto iniziando a formare anche altri, come ben racconta questa cronaca di viaggio.

Il 19 marzo, alle 11 della mattina Sara (è un nome che sentirete spesso, molto spesso, ma di Sara parleremo più avanti) passa a prendermi sotto casa, per portarmi alla stazione,

destinazione: Perugia

obiettivo: ultima fase del progetto K-Values un progetto europeo di formazione per formatori, in cui ho appreso a condurre laboratori di Digital Storytelling.
Per i prossimi 10 giorni sarò a casa di Marta, a Bastia Umbra, dove faremo il piloting, cioè ci metteremmo finalmente alla prova come formatrici, conducendo un laboratorio per 6 giovani disoccupati/precari.

Il viaggio in treno è lungo, lunghissimo, ma il tempo mi scivola leggero tra le dita. In treno mi sento sempre a posto con me stessa, cullata, rassicurata.
Avrei molto da lavorare, una volta lavoravo come una macchina in treno, e se proprio devo so farlo ancora, ma se posso preferisco rimanere in silenzio a fissare il mondo che scivola fuori dal finestrino, magari scrivendo un po’. Alle otto della sera sono finalmente a Foligno, Marta mi aspetta alla stazione leggera e sorridente, con la mia stessa ansia ma anche il mio stesso entusiasmo per la nuova sfida.

E forse a questo punto è il caso di aprire una breve parentesi sul digital storytelling, giusto per seguire meglio: trattasi di un breve racconto personale, per l’appunto digitale, una registrazione vocale, corredata da immagini, su un tema preciso, nel nostro caso le competenze professionali, formali e non.
Dunque il nostro ruolo è di facilitazione: tramite una serie di attività non formali aiutiamo le persone a concentrarsi sulla loro storia, e a scriverla in maniera sintetica e personale, dopodiché li accompagnamo durante tutto il processo dalla registrazione audio, selezione delle foto, montaggio, fino ad arrivare allo sharing, dove si guarda insieme il risultato del lavoro.

E così mi sono fermata dieci giorni in  Umbria, il laboratorio si è svolto nei due fine settimana, il primo dedicato alla scrittura della storia, il secondo al montaggio e alla valutazione finale.
Potrei parlare ore dei partecipanti, dell’emozione di vederli all’inizio scettici, poi intimoriti ad aprirsi e alla fine lanciati nelle loro narrazioni, ma credo che di questo parlino meglio le loro storie, quindi mi limiterò a segnalarvi i link su cui guardarle, e a dire che aiutare qualcuno a raccontare la sua storia, è una delle cose che mi emoziona di più al mondo!


Durante la settimana, oltre a lavorare con Marta, organizzare i materiali e confrontarci sul lavoro fatto e quello da fare, mi sono goduta un po’ l’Umbria, mia regione natia, eppure a me quasi sconosciuta: abbiamo preso un aperitivo in centro con Claudia, una mia vecchia conoscenza finita a Perugia per il dottorato, camminato di sera per Assisi deserta, passato la domenica a fare il periplo del Trasimeno parlando di amore, di avere 30 anni oggi, di questo paese, di noi, scoprendo affinità, intese e differenze, trasformando una collaborazione nata dalla casualità in un’amicizia che già promette di diventare solida e profonda. E per finire in bellezza è venuta a trovarmi la mia mamma... il mio modello, il mio punto fermo, la donna che sempre mi ha spronato ad andare, a crescere, a formarmi, ad affrontare con coraggio ogni sfida, ogni fallimento, ogni nuovo inizio, e soprattutto a lasciare Roma e trovare le mie ali. Salutare Marta, la mamma, il papà, il fratello, il nonno, il cane, che in questi giorni mi hanno fatta sentire di famiglia, nutrita e coccolata, non è per nulla facile... ai saluti non ci si abitua mai... il positivo però è che ogni chilometro che ti allontana da un posto dove sei stato bene ti avvicina al prossimo obiettivo.

E così il 28 sera, tempo di chiudere il laboratorio e bere ancora una cosa con Marta e Claudia, salgo sul regionale Perugia-Firenze. L’indomani devo essere a Milano in mattinata, così approfitto per passare una notte dal mio amico Luca.

Luca è una delle persone più dolci e solari che abbia mai incontrato, mi accoglie alla stazione con la sua bici arrugginita e un sorriso che odora di Sicilia, la terra di sua madre, la terra in cui ci siamo conosciuti.... in effetti è la prima volta che ci vediamo fuori dalla nostra piccola isola, ci siamo conosciuti 2 anni fa, anche se sembra già una vita, durante il festival del cinema di Lampedusa (e anche di questo parlerò prima o poi) e da quel momento siamo diventati una bellissima grande famiglia, e quell’isoletta in mezzo al nulla e pure al centro di tutto è diventata la mia seconda casa.
 L’aria è tiepida, quasi primaverile, ci perdiamo tra le viuzze del centro, in un silenzio irreale, parlando di tutto e niente, mangiamo sushi discutendo di politica e amore, e poi ancora a passi lenti e allegri ce ne andiamo a casa. Gli faccio vedere i miei giochi, gli regalo una conchiglia e una scatola aperta di cioccolatini, ci addormentiamo alle due del mattino eppure la mattina alle sette mi sveglio riposatissima.... colazione al sole e poi ancora in treno, altro giro altra corsa.



Milano vicino all’Europa, Milano che banche, che cambi, Milano gambe aperte, Milano che ride e si diverte..... scendo dal treno e sono già in metro, destinazione fieramilanocity, obiettivo “Fa la cosa giusta” la fiera sul consumo critico organizzata da Terre di Mezzo. Lì mi aspetta Carlo, per i prossimi due giorni saremo lì a promuovere il turismo sportivo e sostenibile, il nostro magnifico territorio, e un viaggio bike&boat costruito insieme, Salentobicitour e Oltrevela. Due giorni intensi, di relazioni, ma anche esplorazioni e scoperte, conosciamo i ragazzi che curano il blog Viaggiverdi, i giovani volontari della grande fabbrica delle parole e tanti altri...

E poi la sera un po’ di movida, un po’ di tempo con i miei amici romani emigrati qui, persone che mi sono accanto dai tempi del liceo, e che la distanza non allontana mai, e già che ci sono prima di ripartire anche un po’ di vita familiare... a casa col mio adorato zio Paolo, uno dei tre fratelli di mamma, la sua fantastica moglie e i miei 4 cuginetti. Mi piace Milano, di solito i romani non amano questa città, e invece a me mette allegria, mi ricorda momenti felici, intensi, mi piace prendere la metro e sorprendermi che passa puntuale e non si rompe ogni due giorni, mi piacciono i vecchi tram e i locali. E paradossalmente la sua frenesia mi rilassa...
Tanto che arrivata fin qui, di andare a Copenaghen non ho più tanta voglia, me ne resterei con la famiglia ancora un paio di gg, e poi me ne tornerei a casetta mia. Ma Copenaghen è qualcosa che desidero da quando avevo 16 anni, volevo andarci col mio amico Pedro, compagno di scuola e di avventure adolescenziali, a fare un viaggio tenda e zaino... poi gli anni sono passati, siamo stati insieme in Salento, in Libia, e in tanti altri posti, ma a Copenaghen mai... ironia della sorte adesso lui ci vive, quindi prima di iniziare il lavoro me ne starò un paio di giorni con lui.

2 aprile. Sveglia alle 4 del mattino, treno, aereo, metro, bus e sono all’università, completamente bollita dal sonno ma così felice di vedere il mio vecchio amico mentre mi fa vedere il laboratorio in cui fa il suo dottorato, le sue belle formichine che se ne stanno in una scatolina a costruire funghi e farsi studiare... sembra proprio abbia trovato la sua dimensione. Come molti altri di noi che se ne vanno a studiare e lavorare via di qui. Purtroppo. E la Danimarca è una meta piuttosto ambita per i giovani in cerca di un futuro, borse di studio, sussidi, un’università pazzesca... ho visto genitori ventenni con biciclette piene di bambini ovunque, altro che crescita zero, quelli figliano come i conigli! Beati loro che possono permetterselo....

E così riflettendo su questi temi cari alla mia generazione me ne sono andata in giro per la città, senza meta, senza appuntamenti, sola con i miei pensieri, il mio sonno e l’entusiasmo di potermi per qualche ora perdermi in una città sconosciuta in perfetta solitudine... ho camminato su e giù per l’orto botanico, pranzato in un locale del centro e scoperto lo splendido pane nero danese, e poi sono tornata all’università a prendere Pedro, e finalmente a casa, un tè, due coccole sul divano, la cena, filmetto a letto, mi hanno rimesso al mondo!

Mi sveglio presto ma riposatissima, miracolo c’è il sole! E una giornata tutta da passare con Pedro, e la Sara e Stefano, compagni di avventura del team Italiano, appena arrivati dopo una notte a Malpensa... la giornata si srotola felicemente tra un giro a Cristiania, un caffè sul prato lungo i laghi, e intense discussioni sulla politica italiana, la parità di genere e le relazioni uomo donna in Danimarca e al sud Italia, alla fine tutti conveniamo sul fatto che un uomo che ti apre la porta e ti prende le buste della spesa non necessariamente è un maschilista, e che certe donne stanno diventando troppo aggressive, e questo è insano tanto quanto il machismo...

E chiacchierando chiacchierando se ne va il mio ultimo giorno libero.... è ora di spostarsi nella casa del grande fratello, alias l’appartamento nel quale per i prossimi 3 giorni saremo chiusi con 5 danesi e 2 polacchi per discutere il soggetto del documentario che gireremo nei prossimi mesi tra Copenaghen, Lecce e Cracovia, nell’ambito del progetto Youthfor change.


Ecco che si apre l’ultimo capitolo di questo lungo viaggio, l’ultimo progetto da avviare prima di ritornare a casa a rimettere insieme i pezzi: conosciamo i ragazzi del team Danese, Marina, Ane, Mads e Stefan e i polacchi Kuba e Paulina. Per tutto il fine settimana discutiamo i contenuti del documentario che gireremo nei prossimi mesi, il piano di lavoro e gli obiettivi che vogliamo raggiungere. Diventiamo finalmente una vera squadra, ci separiamo con la convinzione che il lavoro dei prossimi mesi sarà intenso ma anche avvincente.



E il 7 mattina, alle sei, la sveglia che suona, il freddo fuori, un letto caldo da lasciare a malincuore e al contempo la prospettiva di rotolare finalmente verso sud, tornare a casa mia, magari al sole... beh non vedo l’ora....

Ci vogliono appena 16 ore per essere finalmente nel mio appartamento, a iniziare a svuotare la valigia, a riambientarmi, a riabbracciare i miei fantastici coinquilini, a scrivere questo blog che da qui in poi si propone di raccontare, attraverso episodi della mia vita, tutta una generazione che si muove, che prova a costruire un mondo diverso......


E speriamo sia un viaggio appassionante e che nuovi compagni vogliano seguire questo cammino con me!