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mercoledì 14 maggio 2014

Il peso della valigia



La mia passione per la spazzatura, per lo scarto, mi ha portato spesso a frequentare le discariche, quell’anno giravo per quella di via Imbriacola, la stessa zona dove è il centro di “Accoglienza” altra discarica, ma di vite umane. In quello spazio vi erano i rifiuti che poi partivano in nave verso Porto Empedocle, in una zona venivano ammassate le barche usate dalla gente che arrivava a Lampedusa, prevalentemente dall’Africa, c’erano grosse cataste di scafi triturati, sembravano enormi onde di legno, fu in uno di questi mucchi che trovai un pacco accuratamente chiuso con del nastro adesivo. Quando lo apri mi ritrovai in mano foto, lettere, testi sacri.

Da bambino giocavo spesso a fare l’esploratore, come capita a molti, immaginavo sempre di scoprire una piramide o un antico tempio, quel giorno ebbi la stessa sensazione di quando giocavo in quel modo. Ne parlai immediatamente a tutti gli altri di Askavusa e in particolare con Annalisa e Gianluca cominciammo ad andare regolarmente in discarica a raccogliere tutto quello che potevamo. Molti ci guardavano con aria stupita, come se fossimo dei pazzi, altri addirittura con disprezzo, pochi capivano, ma noi andavamo avanti. Ogni giorno trovavamo qualcosa che ci lasciava a bocca aperta: foto, diari, lettere, scarpe, utensili da cucina….. Nella discarica si aggiravano fantasmi, energie di ogni tipo, il coro degli ultimi che saliva fino alle viscere cercando corpi con cui prendere parola, bocche con cui gridare, pugni con cui combattere, occhi per piangere, occhi per ridere.

Giacomo Sferlazzo da "Con gli oggetti" sul blog del Collettivo Askavusa



Apro questo post con un frammento di un lungo articolo (che consiglio di leggere con attenzione a che vuole sapere qualcosa di più sulla storia recente di Lampedusa) del mio amico Giacomo. 

La passione per la spazzatura, per lo scarto, ha molte sfaccettature, e in questi 29 anni ne ho esplorate tante, e tante ancora ne voglio esplorare.

Il titolo che ho rubato oggi, di una canzone di Ligabue di qualche anno fa, racconta molto bene il rapporto con gli oggetti, nella vita di una giovane viaggiatrice che ha due valigie: una di pelle, che non è nemmeno mia, ma mi è stata prestata a lungo termine da un amico che ha deciso di non volare più, rimettersi lo zaino in spalla e dedicarsi all'andamento lento, e una metaforica, ben rappresentata dalla scatola di latta che mi ha regalato Andrea nel nostro primo viaggio insieme.

Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui 

e ti è toccato partire bambina

con una piccola valigia di cartone 
che hai cominciato a riempire 

due foglie di quella radura che non c'era già più 
rossetti finti ed un astuccio di gemme 
e la valigia ha cominciato a pesare 
dovevi ancora partire ....


Si dice che le persone si dividono in due categorie: i "buttatori" e i "conservatori". Liberarmi dalla mania di conservare qualunque cosa per me è stato un percorso lungo, ci sono voluti una marea di traslochi, una convivenza finita in maniera poco pacifica, una serie di stanze troppo piccole per contenere tutto ciò che negli anni non avevo avuto il coraggio di buttare e soprattutto mio padre che ogni volta che entrava in camera mia diceva "sembra di essere a Baghdad/Beirut dopo i bombardamenti... se vuoi ti do una mano, io adoro buttare". 

La cosa è bella è che ho iniziato a interessarmi davvero agli oggetti, alla loro storia, alle energie che contengono e portano con loro proprio quando ho iniziato a liberarmene. Ho capito che la lezione sull'amare che è saper lasciar andare si applica benissimo anche alle cose, ho capito che non sarei mai diventata una "buttatrice" perché buttare è politicamente e moralmente fastidiosissimo per me, ma ho capito che esistono anche altre due categorie: il "regalatore" e il "trasformatore". Le ho felicemente sposate entrambe. E così la mia stanza è rimasta una piccola Beirut, ma gli oggetti che la popolano sono vivissimi, arrivano, vanno via, vengono trasformati. 

L'incontro con il digital storytelling, in cui mi si chiedeva di portare un oggetto che fosse legato al mio lavoro o ai miei valori, la scoperta insieme a Claudio, di attività manuali meravigliose per facilitare percorsi narrativi, e l'incontro con Nadia, una ragazza piena di energie, che sta con coraggio trasformando la passione per il riuso creativo nella sua attività principale, mi hanno aiutata a canalizzare questa passione per oggetti apparentemente inutili: scoprirne, documentarne tracciarne e inventarne le storie. 


Per dare e ridare dignità a questi oggetti, perché siano un mezzo per le persone per raccontare le loro storie, per puro piacere. qualunque sia la ragione farli rivivere, trasformarli. e poi darli via, sempre e comunque, non attaccarsi al feticcio dell'oggetto ma innamorarsi della sua storia, e poi regalarla a chi se la merita, a chi ne ha bisogno, a chi sappiamo che la terrà con se per un po' e poi la farà girare ancora e la trasformerà ancora, e ancora.

E se le storie degli oggetti vi appassionano come a me restate sintonizzati perché in pentola bolle parecchia roba... 

venerdì 2 maggio 2014



Non è l'amore che va via

Di isole che ti cambiano la vita, e di incontri che non sai dove ti porteranno.

Stasera per caso mi sono imbattuta nel mio primo Digital Storytelling, realizzato un anno fa nel Laboratorio dal Basso: "Oggi a Pranzo:Cultura!"

Di quel giorno di maggio e di come mi ha poi portato a iniziare un percorso sullo storytelling ho già parlato in un post precedente, ma rivedere il video, a un anno di distanza, ha risvegliato in me emozioni forti e contrastanti.

Mi assalgono pensieri su come si cambia in soli 12 mesi, su come quello che era un pallido desiderio, un sogno in cui cullarsi in un pomeriggio torrido di primavera, stia diventando passo dopo passo la mia realtà, ed è bellissimo e allo stesso tempo faticosissimo. Stasera, che mi sento affaticata dai troppi progetti da seguire contemporaneamente,  sembra che questo passo avanti in concretezza, che è sicuramente una gran bella cosa, lo stia pagando con la perdita, o semplicemente un lieve allontanamento da alcuni miei amori.

E mi sono allontanata da Lampedusa, è quasi un anno che non torno, e rivedendo questa storia, tecnicamente molto più che imperfetta (ho anche pensato di rifare l'audio, ma poi mi sono detta che per quanto sporco e impreciso è anche lui una traccia di un cammino, ed è giusto che resti intatto) questa sera, mi assalgono domande a cui ancora non trovo risposta.

Lampedusa, il festival, i campi di volontariato, gli amici e i compagni incontrati sull'isola, le camminate solitarie nella notte sotto la luna, i racconti e il romanzo dedicati a lei e mai terminati, mi hanno cambiata dentro in una maniera che non avevo mai immaginato. Dolore e felicità, e soprattutto condivisione, condivisione, condivisioni. E amore.. amore nel senso più puro e allargato della parola, amore per la vita, amicizie profondissime nate o cresciute lì, e adesso dov'è tutto ciò?

Mi manca quella parte di me, ultimamente mi sembra di correre troppo, e di aver sacrificato delle parti importanti, seppure per obiettivi che sento miei e in cui metto una passione e una motivazione, e una fermezza, che raramente avevo sperimentato. 

Sarà un momento di stanchezza, ma stasera riesco a pensare solo a Lampedusa, e alla voglia di ritrovarmi un po'.... ma sono cosa difficili da descrivere... forse è meglio se vi faccio vedere la storia...